Introduzione storica

Diocesi antichissima, risalente al II secolo, dovette ben presto dotarsi di un archivio. Se le citazioni esplicite non risalgono oltre il secolo IX, la esistenza sino dal 526-530 di un “corpus’ di notai vescovili, con a capo un primicerio, ricordato dallo storico Agnello, e la sussistenza a Ravenna di una continuità documentaria a partire dalla metà del V secolo relativa al patrimonio della Chiesa Ravennate testimoniata dai papiri, inducono a dedurre la esistenza di un archivio formato sino da quell’epoca. Dal sec. IX è accertata la presenza di una cancelleria con proprie caratteristiche originali e, accanto all’archivio ed ai notai arcivescovili, la presenza di un ufficio di segreteria per la trattazione degli affari politici della diocesi e delle relazioni con i vescovi suffraganei, nonché di una Camera per la tenuta amministrativa dei possessi arcivescovili che a quell’epoca appaiono già vasti e consolidati.

L’assunzione del vescovo di Ravenna, con Pier Crisologo (426-450), al grado di metropolita, e quindi con Massimiano (546-556) al titolo arcivescovile, conferì alla diocesi di Ravenna un alto livello di prestigio spirituale e di potere sul territorio, consolidati dalla vastità del suo patrimonio fondiario. Sul finire del secolo X, i privilegi ottenuti dagli Ottoni (961-1001) legalizzarono l’arcivescovo come signore feudale e la formazione di una speciale marca, costituita da alcuni comitati (Montefeltro, Cervia, Comacchio, Ferrara, Imola, Faenza, Forlì, Forlimpopoli, Bobbio (Sarsina) e Cesena). In questo ambito gli arcivescovi realizzarono una vasta operazione di incastellamento. La presenza e l’influenza arcivescovile su così vasti territori determina l’esistenza in archivio di una ricca documentazione a titolo originario che oltrepassava largamente l’ambito della diocesi, investendo tutta la Romagna, il Ferrarese, il Polesine di Adria e Rovigo, le Marche, l’Umbria, parte del Bolognese, Modena, Parma.
Non è possibile seguire qui tutte le variazioni subite nel corso del periodo medievale, talora anche per breve tempo, dalla giurisdizione ecclesiastica della metropoli ravennate (cfr. Kehr, V, pp. 15-16) e che era giunta a comprendere tutta l’Emilia, da Ravenna sino a Piacenza (‘Aemilia sive provincia Ravennas’), solo nel 1582, con la erezione di Bologna ad arcivescovato, papa Gregorio XIII separò definitivamente le diocesi dell’Emilia occidentale dalla metropoli ravennate.
Oggi la dizione metropolitica di Ravenna raccoglie le diocesi di Cesena-Sarsina, Forlì-Bertinoro, Rimini, S. Marino-Montefeltro, mentre la diocesi di Cervia, in amministrazione con quella di Ravenna dal 1908, è stata unita in perpetuo con decreto della Congregazione Concistoriale del 15 febbraio 1947 «aeque principaliter et servato dignitatis ordine» all’Archidiocesi di Ravenna.
L’Archivio ha subito nei secoli cospicue dispersioni. Le più antiche risalgono ai tempi degli arcivescovi Damiano (692-708) e Giorgio (840); nel 966, durante la prigionia dell’arcivescovo Pietro IV, l’episcopio fu probabilmente saccheggiato e l’archivio scompaginato. Grave perdita è stata quella che il collezionismo del periodo umanistico arrecò nella seconda metà del XV secolo e nella prima del XVI, con la sottrazione della maggior parte dei papiri, alcuni da considerare perduti, gli altri conservati oggi presso la Biblioteca Vaticana e in varie biblioteche d’Europa e America. Memorabile il caso del codice papiraceo della seconda metà del secolo X, il “Breviarium Ecclesiae Ravennatis”, passato a Monaco di Baviera sulla metà del Cinquecento.
Altre importanti migrazioni, sulle quali non siamo ancora sufficientemente informati, furono quelle che determinarono la formazione del fondo ravennate conservato presso l’Archivio di Stato di Modena (ca. 900 documenti), e di quello delle pergamene arcivescovili passate nell’archivio dei marchesi Rangoni di Modena, poi donate da Bonifacio Rangoni a Giovanni Battista Mittarelli che le pubblicò in parte negli “Annales Camaldulenses” (1755-1777), e le riunì in un codice, acquistato nel 1893 dalla Bibliothèque Nationale di Parigi (nouv. acq. lat. 2573).
Occorre inoltre ricordare le due spedizioni di documenti arcivescovili fatte a Roma nel 1565-1566, e quindi durante il pontificato di Sisto V (1585-1590), nell’ambito del tentativo avviato da papa Pio V di creare presso la Santa Sede un grande archivio generale e di acquisire la documentazione che poteva essere utile a provare i diritti della Camera Apostolica. Il primo gruppo, di circa 480 documenti, dei quali Girolamo Rossi ha pubblicato l’elenco (pp. 812-828), è andato per la massima parte disperso; gli oltre 1100 documenti che costituivano il secondo gruppo furono invece restituiti a Ravenna nel 1605, e dovrebbero essere quasi tutti tuttora esistenti, come va emergendo dal lavoro avviato di recente per la loro identificazione. Ancora del Cinquecento è la acquisizione all’archivio dei Pio di Carpi, probabilmente tramite il card. Rodolfo Pio, stato legato di Romagna nel 1530, di alcuni privilegi, oggi presso la Congregazione di Carità di Milano, e del famoso rotolo liturgico dei tempi dell’arcivescovo Mauro (642 ca.-671) recante sul verso lettere dei secc. IX-X, passato poi con l’archivio Pio di Savoia alla Biblioteca Ambrosiana.
Nel 1622 l’Archivio, situato in un locale attiguo alla sacrestia della Cattedrale, fu trasferito al secondo piano dell’episcopio e fu salvo dalla storica inondazione del 1636.
Nel secolo XVIII, in ottemperanza alla “Maxima vigilantia” di Benedetto XIII (1727), l’arcivescovo Maffeo Niccolò Farsetti (1727-1741), avviò il riordinamento dell’Archivio affidandolo al canonico archivista Giuseppe Luigi Amadesi (1707-1774) che costituì la grande serie dei protocolli dei “Diversorum”. Farsetti volle altresì la costituzione di un’altra serie, più piccola, di “Diversorum”, dedicati ai beni nel Ferrarese e nel Polesine di Adria-Rovigo, composti a partire dal 1739 da Pietro Maria Pasolini, e completati nel 1750, sotto l’arcivescovo Ferdinando Romualdo Guiccioli (1745-1763), da Giovanni Giuseppe Venetici, archivista arcivescovile a Ferrara. In quegli stessi anni Pier Paolo Ginanni operava per la redazione dei regesti delle pergamene arcivescovili (1737-1745). Per le note vicende connesse con la pubblicazione del “Liber pontificalis” di Agnello da parte di Benedetto Bacchini (1708), all’Archivio non potè avere accesso Ludovico Antonio Muratori.
In concomitanza con le soppressioni napoleoniche l’arcivescovo Antonio Codronchi (1785-1826) acquisì all’Archivio gran parte delle pergamene del monastero di S. Andrea Maggiore di Ravenna, con carte dall’896 . Allo stesso periodo risale probabilmente la concentrazione delle pergamene dei soppressi conventi di S. Chiara e S. Domenico, che furono unite a quelle del fondo arcivescovile e che sono ancora da identificare. Altre 862 pergamene, reperite nel vecchio archivio della Cancelleria, sono pervenute all’Archivio negli anni 1915-1919.
Un’altra importante acquisizione avvenne per volontà dell’arcivescovo Chiarissimo Falconieri (1826-1859), che concentrò a Ravenna le carte degli antichi Vicariati arcivescovili di Argenta, Cesena, Ferrara e Rimini. Egli fece inoltre costruire (1847) una serie di armadi, nei quali furono sistemati gli archivi dei Vicariati e, più in generale l’archivio della Mensa Arcivescovile. Agli anni anteriori al 1940 risalgono i depositi dell’archivio del Convento dei parroci urbani, e delle pergamene della famiglia ravennate Lovatelli-Dal Corno.
I danni subiti dal palazzo arcivescovile nel corso della seconda Guerra Mondiale non hanno risparmiato l’Archivio, con particolare riguardo alle carte dei secc. XIX-XX, molte delle quali sono andate gravemente sconvolte, e non possono essere consultate.
Dopo il 1945 sono stati depositati gli atti della Curia Arcivescovile posteriori al 1900, quello del Vescovato di Cervia e quello del Tribunale Arcivescovile sino al 1859, nonché gran parte dell’archivio del Capitolo Metropolitano. Recentissima (1994-1995) è la acquisizione di alcuni archivi di parrocchie urbane soppresse, di quanto ancora era rimasto presso la Cattedrale dell’archivio del Capitolo e dell’archivio storico del Seminario arcivescovile.
L’Archivio, da sempre conservato nel palazzo dell’episcopio accanto alla cattedrale, nel 1991 è stato trasferito presso il Seminario, dove si è potuto collocarlo in modo più confacente per il riconoscimento dei fondi e delle serie, e per avviare un generale riordinamento, cui si attende. Nel 1989-1991, grazie ai fondi apprestati dal Ministero per i Beni Culturali, e per l’interessamento della Soprintendenza Archivistica per l’Emilia-Romagna di Bologna, sono state stese e collocate in cassettiere metalliche tutte le circa 13.000 pergamene, già conservate in fasci dai tempi del Ginanni, tra le quali circa 500 pergamene e frammenti dal sec. IX ex., giacenti in rotoli da tempo immemorabile; il lavoro è stato eseguito dal Laboratorio di restauro del libro di S. Maria del Monte di Cesena.
Materiale dell’archivio – fondi del Capitolo Metropolitano, Convento dei Parroci, dei monasteri di S. Andrea Maggiore, S. Chiara e S. Domenico di Ravenna, della Confraternita del SS.mo Sacramento in S. Giustina – va integrato con quello delle medesime istituzioni conservato presso l’Archivio di Stato di Ravenna.
Giuseppe Rabotti